Esamina dal punto di vista stilistico venti orazioni dell’umanista perugino Francesco Maturanzio, più volte lettore allo Studio patrio tra la seconda metà del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento. In particolare, dopo aver precisato il genere epidittico delle declamazioni “maturanziane” (in nota sono riportate l’edizioni sulle quali il contributo si basa come l’orazione funebre a Leonardo Mansueti), ne sottolinea il linguaggio composito, ma fortemente dotto e puro del latino che evidenzia il carattere del perugino, incline alla virtù, alla fede cristiana e al culto della lingua e delle letterature antiche che lo portarono a condannare apertamente l’uso del volgare. Un conservatore, dunque, un uomo della tradizione che, come viene messo in luce, fu il prodotto del clima intellettuale vissuto a Perugia in epoca rinascimentale. In tal senso si fa riferimento a Guidonus Insulanus, suo primo maestro allo Studium Perusinum che lo stesso Maturanzio, in una lettera a Matteo degli Ubaldi nella quale ne piangeva la morte, paragonò a Guarino Veronese per le grandi competenze nella lingua latina.