Prendendo spunto da un processo giudiziario svoltosi a Lucca alla fine del XV secolo contro l’ebreo Davide di Dattilo da Tivoli, prestatore per lungo tempo del Monte di Pietà della città toscana e divenuto oggetto delle violente predicazione contro l’usura di frà Timoteo, evidenzia quale fosse l'opinione del popolo riguardo alla convivenza con gli ebrei, la rappresentanza dell'ebreo stesso e l'influenza dei predicatori e dei giuristi sull'opinione pubblica. In particolare su quest’ultimo aspetto viene rimarcato come vennero richiesti dal governo lucchese diversi consilia ad eminenti giuristi come Giovan Battista Caccialupi, formatosi allo Studio di Perugia, per un parere sull’opportunità di una “coesistenza” tra l’istituto dei Monti di Pietà e i prestiti da banchi ebrei (pp-180-182).