Esponente di una delle famiglie della borghesia perugina fedele alla politica pontificia, Fabio di Nicola Danzetta nacque nel 1769 e si laureò in legge nell’Università patria nel 1789. Avviato ad una tradizionale carriera pubblica, suscitò grande sorpresa l’arresto nel 1796 e la successiva prigionia di quattro mesi dovuta all’accusa di far parte di un gruppo di sovversivi. Tuttavia, la condanna non ebbe grandi effetti sulla sua vita pubblica visto che era "capo ufficio" nella suprema magistratura del comune, quando arrivarono a Perugia le truppe francesi. Nominato dagli occupanti tra i "municipalisti" incaricati di reggere la città e successivamente comandante del I battaglione della guardia nazionale, rimase a Perugia solo un mese. Venne chiamato, infatti, a Roma dove partecipò con assiduità, ma senza mettersi particolarmente in mostra, ai lavori dell'Assemblea. Mantenne un profilo moderato e fece da mediatore tra i nuovi gruppi di potere e gli amici aristocratici e forse per questo quando decise di tornare in una Perugia non più giacobina, non credeva d’essere arrestato. Graziato e nuovamente fermato nel novembre 1800 trascorse la prigionia a Roma in preda ad una profonda crisi personale come si deduce dalle lettere inviate al fratello Giacomo o all’avvocato Antonio Brizi. Bandito dallo Stato, iniziò un lungo esilio che lo portò a stabilirsi a Milano dove rimase fino al 1808 quando, con l’avanzata napoleonica, tornò a Roma e nel dicembre 1809 a Spoleto come consigliere di prefettura, riprendendo un ruolo di primo piano nel nuovo scenario politico. In questo periodo fece anche un breve soggiorno a Perugia dove fondò una scuola di massoneria , rinnegata con il crollo del regime napoleonico. Dopo essere stato a Firenze e a Bologna, intraprese un viaggio in Francia,Inghilterra, Olanda e Svizzera, riportando le sue osservazioni in due taccuini di scarso interesse (1816). Fortemente disilluso ritornò a Perugia nel 1817 e si sposò con la giovane Tommasa Oddi Baglioni che, oltre a portare in dote una cospicua somma, gli garantì la successione della famiglia. Per non aver aderito ai moti del 1831, venne nominato da Gregorio XVI barone coronando, paradossalmente mediante quell’autorità pontificia combattuta in gioventù, la sua ascesa sociale. Morì a Perugia nel 1837.